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IV. Saint-Cloud

  • Immagine del redattore: Maria Elena Alessi
    Maria Elena Alessi
  • 23 giu 2021
  • Tempo di lettura: 9 min

Saint-Cloud, 7 gennaio 1660.


L'aria pungente e frizzante che il mattino portava con sé aveva reso fremente Louis che, indifferente al freddo che gli si insinuava sotto il mantello, spronò ancora di più il cavallo al galoppo, incurante del fatto che l'esiguo numero della sua scorta, intirizzita e ancora assopita, faticasse a rimanergli dietro. Colto da un'euforica ma illusoria sensazione di libertà, attraversò di gran carriera il maestoso viale alberato che conduceva alla residenza di suo fratello, concentrandosi solo sul ritmico rumore degli zoccoli sul terreno.


I tigli secchi e avvolti nella nebbia parvero quasi inchinarsi al suo passaggio con i loro rami frondosi e la brina che copriva l'erba emanava uno scintillio di zirconi sotto la tenue luce del sole di gennaio. La foschia delle prime ore del giorno cominciava a diradarsi e l'insidioso nevischio che aveva imperversato durante la notte pareva aver acconsentito a una tregua che faceva preannunciare una giornata molto più mite delle precedenti.

Il fiato degli uomini e dei cavalli si condensava verso l'alto in nuvole di vapore e sebbene a ogni inspirazione le sue narici volessero quasi urlare di protesta, Louis non rinunciò a respirare a pieni polmoni l'odore dell'erba bagnata e dell'umidità. Un formicolio gli colpì la mano destra mentre scendeva da cavallo, per aver tenuto troppo tempo la presa salda sulle briglie, ma lo ignorò e aspettò che gli altri cavalieri lo raggiungessero mentre un servitore del castello si affannava a recuperare il suo destriero e quelli degli altri ospiti inattesi.


«Maestà, è un grande onore avervi qui. Non eravamo stati avvertiti della vostra presenza. Devo dunque annunciarvi a vostro fratello?» domandò con fare cerimonioso un servitore, ma il re scosse la testa e lasciò il proprio cappello nelle mani di La Porte, giunto insieme agli altri moschettieri.


«No, non occorre. Mi annuncerò da solo. Mio fratello è già sveglio?»


«Ma veramente, Sire, Sua Altezza Reale ha deciso di venire qui per riposarsi dopo le fatiche della sua ultima battuta di caccia, e...»


Louis represse un moto di irritazione alla valanga di sproloqui vuoti del valletto e si avviò senza degnarlo di risposta verso l'interno del castello. La struttura, acquistata da Philippe dall'intendente delle Finanze Hevart soltanto due anni prima, per la somma di duecentoquarantamila lire torinesi sotto consiglio di Mazzarino, aveva un aspetto modesto, ma Philippe era intenzionato ad ampliare il castello dei Gondi e ad aggiungerci delle ali supplementari e un' orangerie. Era il posto in cui il principe correva sempre a rifugiarsi quando non ne poteva più di convivere con lui, sua madre e il cardinale a Parigi.

Louis non aveva mai osato metterci piede da solo fino a quel momento, ma le voci che si stavano susseguendo a Corte su quello che avveniva alla tenuta erano divenute ormai troppo insistenti per continuare a far finta di ignorarle. Così aveva addotto la scusa di voler raggiungere Philippe per una battuta di caccia quella mattina stessa e aveva rinunciato ad accompagnare sua madre a Val-de-Grâce, non senza una certa dose di sollievo, lasciando che il cardinale prendesse il suo posto.


Già, il cardinale. Il suo istinto gli diceva che Sua Eminenza sapeva molto di più di lui sul suo stesso fratello e da molto più tempo, eppure si era ben guardato dal fargliene parola. Non che la cosa potesse fargli differenza, ovviamente, ma in quel momento il rapporto dettagliato ma anonimo che gli era stato fatto recapitare quella stessa mattina e che era ancora nella tasca interna della sua giacca cominciò a pesare improvvisamente quanto una cattedrale.


Deglutì e si sforzò di assumere un'espressione neutra mentre attraversava i corridoi che giungevano alle camere di suo fratello.


Allontanò con un gesto della mano le guardie e La Porte e proseguì da solo verso l'anticamera della stanza da notte, spalancando la porta a due battenti.

Era preparato, ma accusò egualmente il colpo alla vista del trambusto che imperava nella stanza. L'insieme di alcol, incenso e sudore che impregnava gli arredi era stomachevole, dolciastro e pungente. Le tende color smeraldo, pesanti e damascate, erano state chiuse, in modo che nella camera regnasse ancora l'oscurità più totale. Louis riconobbe mazzi di carte sparsi su alcuni tavoli e il pavimento era ricoperto dal vetro di alcuni bicchieri di cristallo frantumati e da quella che aveva tutta l'aria di essere biancheria abbastanza costosa. Il re trattenne a stento un'imprecazione quando pestò per sbaglio delle pesche, ma non si perse d'animo e corse a spalancare i tendaggi. La luce limpida del mattino si impossessò con violenza dell'ambiente circostante e Louis si sforzò di ignorare con tutto se stesso la presenza di quattro uomini totalmente svestiti nel letto di Philippe.

«Ma cosa succede?» protestò uno dei mignons, sollevando a fatica la testa dai cuscini, con gli occhi ancora impastati dal sonno. Alla vista del re trasalì e si catapultò dal letto. Louis si rintanò con disgusto nel vano della finestra per lasciare che raccogliesse le sue cose, svegliando tutti gli altri.


«Fratello? Voi qui?! Ma che...» biascicò Philippe, ancora annebbiato dai fumi del vino, e tanto bastò per far smarrire in modo definitivo la già scarsa pazienza di Louis.

«Fuori tutti! Ora!» ordinò urlando, e La Porte, sopraggiunto di corsa nell'udire la voce alterata del sovrano, osservò sbigottito una fila di gentiluomini seminudi fuoriuscire dalle stanze del principe. Il suo sguardo stupefatto incrociò quello furioso del re e il valletto capì all'istante che da quella visita improvvisata non ne sarebbe uscito fuori nulla di buono.


«Chiudete la porta!» ordinò il re e a La Porte non restò altro da fare se non chinare il capo ed eseguire l'ordine. Il re e suo fratello rimasero soli.


Philippe si mise seduto sul letto, lasciandosi andare a un sonoro sbadiglio, poi si grattò il capo, del tutto incurante del cipiglio di Louis.


«Buongiorno anche voi, fratello» lo salutò agitando la mano come un bambino. «A cosa devo l'onore?»


Louis alzò gli occhi al cielo. A giudicare dal tono di voce era ancora ubriaco fradicio e ci sarebbe voluta almeno metà del mattino, un bagno e due caraffe d'acqua prima che Philippe potesse rientrare nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Il principe dal canto suo cercò di mettersi in piedi e si parò davanti al re ancora completamente nudo.

«Santo Iddio, fratello, vestitevi!» imprecò Louis, nauseato. «Siete indecente! E puzzate di vino come un ubriacone di una taverna d'infimo ordine.»


«Ah, vi prego, non vi indignate così, mon petit papa. In fondo non è niente che non abbiate già visto. E poi il mio vino non puzza mai.»

Louis era ormai senza parole.


«La Porte!» chiamò, incapace di fronteggiare oltre quella situazione da solo, e il suo servitore aprì discretamente l'uscio.


«Sì, Sire?»


«Aiutate immediatamente mio fratello a ricomporsi come si conviene. Lo voglio nei giardini entro due ore. E, di grazia, arieggiate questa stanza. Il tanfo è insopportabile.»


«Certamente, Sire.»


Il re uscì di corsa senza degnare di un altro sguardo né suo fratello né il suo servitore, rosso dalla collera. Il valletto e il principe rimasero soli e Philippe gli rivolse un sorriso raggiante.


«Allora, mio buon La Porte» commentò, spalancando le braccia. «Quale parte vi aggrada di più restaurare per prima?»


Gli sembrò fosse passata un'eternità quando vide Philippe raggiungerlo finalmente nel parco. Louis non si scompose, ma rimase seduto sul bordo della fontana. Prese un profondo respiro e chiuse gli occhi, cercando di imprimere nella mente il complesso disegno di giardini all'italiana per poterne replicare da sé una pianta.


«I lavori di rifacimento saranno affidati a un architetto molto promettente, Antoine Le Pautre» si limitò semplicemente a comunicargli Philippe, come se gli avesse letto nel pensiero. Louis non disse nulla e lasciò che suo fratello commettesse l'ennesima infrazione dell'etichetta prendendo posto accanto a lui sul bordo della fontana. Se non altro, pareva essere tornato in sé.


«Vi faccio ribrezzo, non è vero?»


Louis sussultò. Non si era aspettato una domanda così diretta. «No, certo che no.» Santo Cielo, pensò poi il re. Come è possibile che adesso sia io a dovermi giustificare?


Philippe si lasciò sfuggire un riso amaro.


«Non mentitemi, Louis. Per favore, almeno voi, non fatelo.»


Il re lo fissò, cercando di comprendere l'origine dello strano moto di protezione che aveva preso piede nel suo animo, contro ogni aspettativa. Lui e Philippe non si erano mai somigliati molto, neanche nei tratti somatici. Lui era più simile all'imperiosa e asburgica Anna, Philippe aveva gli occhi scuri, i tratti effeminati e i capelli bruni del loro fragile padre.


«Non vi sto mentendo, Philippe. È che io non vi capisco. Sapete, a volte mi chiedo se sarò mai capace di farlo.»


«Il fatto che almeno voi vi poniate ancora delle domande, fratello mio, mi lascia ben sperare. Per nostra madre e il cardinale non sono che un sodomita pervertito»

commentò il principe senza troppi giri di parole e Louis si morse le labbra. Come sempre, con la sua schiettezza Philippe aveva il potere di far cadere come castelli di carta le convenzioni radicate su cui lui stesso basava la sua esistenza.


«Non è così. Nostra madre vi ama, Philippe, forse anche più di quanto ami me. È sempre stata solo una madre con voi, mentre con me... ma questo non ha importanza. Non discuto delle vostre... preferenze. Non l'ho mai fatto e se vi siete posto mai il dubbio, lasciate che vi dica che non vi ho mai denunciato né tradito davanti a lei e il cardinale sebbene lo sapessi da tempo.»


Philippe emise un ghigno e si alzò sbuffando, incapace di contenere oltre il proprio disappunto.


«È così da sempre, fratello. Tutti lo hanno sempre saputo, non è un segreto. Lei stessa mi vestiva da bambina. Ora non capisco dove sia il problema.»


Anche Louis si alzò e lo afferrò all'improvviso per un braccio.


«Ciò che fate, la vostra condotta, sono sotto gli occhi del mondo intero» sibilò e alla vista degli occhi indiscreti delle guardie lasciò la presa sul braccio del fratello. «Come pretendete che vi considerino degno di onore, Philippe, se passate la vostre notti organizzando infimi bordelli, se compiete atti di sodomia contrari alla fede e alla Chiesa? Vi chiedo solo di essere più discreto nelle vostre inclinazioni, non altro.»


Philippe scosse la testa e sbuffò.


«Davvero?! » esclamò, indispettito. «Perché forse voi lo siete? Davvero vi considerate migliore di me, Louis? Passate da un letto all'altro tanto quanto me, se non di più. Dovrebbero valutarvi più "degno d'onore", come dite voi, solo perché tra le vostre lenzuola ci sono donne e non uomini?»


Il re non gli rispose e Philippe si pentì amaramente di quello che aveva appena detto. Louis aveva appena finito di rassicurarlo sul fatto che non lo stava giudicando per le sue scelte e lui aveva fatto esattamente il contrario.


«Perdonatemi. Non era mia intenzione offendervi.»


Louis gli fece cenno di rientrare e non proferì parola fino a quando non furono di nuovo al sicuro nello studio di Philippe, seduti l'uno di fronte all'altro, separati da un tavolo di lavoro e al riparo da orecchie indiscrete.


«Nostra madre è diversa da me e da voi, Philippe. È figlia del suo tempo. E ha sacrificato qualsiasi cosa per noi.»


Philippe alzò gli occhi al cielo. Sapeva che Louis avrebbe liquidato la questione con un'uscita del genere, ma questa volta non intendeva restare in silenzio e annuire.

«E di quale tempo, fratello?» replicò. «Quello in cui aveva Giulio come amante? È stato questo il suo grande sacrificio?! Louis, ve lo chiedo per favore. È ipocrisia puntare il dito sulla mia moralità senza esaminarsi prima la propria, e voi lo sapete. Lo fanno anche con voi! Voi più di chiunque altro dovreste capirmi e non venire qui a difendere le loro posizioni!»


«Io non difendo le posizioni di nessuno. Sono qui come fratello e non come ambasciatore, ma quello che dice nostra madre è vero. Se ci vedranno deboli una volta, lo saremo per sempre. Avete dimenticato quello che abbiamo passato? Avete forse dimenticato la Fronda? I nostri stessi parenti hanno cercato di ucciderci, Philippe!»

Il principe si alzò e cominciò a camminare nervosamente per la stanza.


«Voi non regnerete mai, Luigi. Fino a che lei e Giulio saranno in vita, voi non regnerete mai sul serio.»


«Volete che muoiano?» ribatté sarcasticamente il sovrano.


«Certo che no! Ma hanno fatto il loro corso. Dovete imporvi, Luigi. Per me, per noi, per la Francia.»


«Non posso. Non posso togliere loro la benché minima parte del loro credito senza spaccare in due il paese un'altra volta. La Spagna non aspetta altro. Philippe, voi e io siamo una famiglia. E la famiglia non si divide di fronte agli ostacoli, anzi non si divide soprattutto dinanzi agli ostacoli. Non viviamo solo per noi stessi, ci sono valori più grandi di noi, c'è un bene superiore. C'è la pace, la prosperità, il benessere del nostro popolo in gioco e io non potrei mai perdonarmi se portassi la mia gente alla fame solo per assecondare i miei capricci.»


«Abbiamo battuto la Spagna una volta, abbiamo battuto la Fronda due volte, possiamo farlo ancora» commentò Philippe quasi in tono di sfida.


«Parlate da egoista» lo redarguì Louis. «Non consentirò mai più a quella gente di mettere in dubbio il mio diritto di nascita, né darò mai loro il pretesto per metterci gli uni contro gli altri, per dividere e versare il sangue dei francesi. Li annienterò sempre, con ogni mezzo che mi sarà possibile. Sapete bene che Condè mi ha chiesto il perdono, ma che se potesse mi sgozzerebbe come un agnello a Pasqua.»


Louis vide suo fratello esitare, tormentarsi le mani con fare nervoso; poi Philippe parve provare a placarsi e tornò sedersi di fronte a lui.


«E quindi adesso che cosa facciamo?» gli domandò.


«Il nostro meglio, anche se la situazione non ci piace. E domani andremo a caccia. Sempre che voi non siate troppo stanco» commentò Louis con un sorrisetto allusivo e Philippe avvertì un senso di subitaneo alleviamento nel realizzare che la tensione accumulata fino a quel momento stava per smorzarsi. Sorrise anche lui e incassò il colpo con eleganza.


«Semmai voleste unirvi alla festa...» propose allora, serissimo. «Immagino già che bell'affare sarebbe, il duca d'Anjou e il Re Cristianissimo che si sollazzano con altri viziosi gentiluomini. Cielo, il mio spirito maniaco e depravato è già tutto un fermento» concluse poi con ostentata nonchalance e scoppiò in una sonora risata nell'osservare un' espressione vagamente scombinata dipingersi sul volto sempre impassibile del fratello.

 
 
 

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